Ho volutamente inserito nel titolo le parole “figure genitoriali” anziché “genitori” perché in psicoterapia può capitare che si debba parlare di genitori deceduti o che sono stati molto assenti e/o con i quali il figlio vuole intrattenere pochi o nulli rapporti. Esiste, anche se più raramente, il caso opposto in cui è il genitore a mostrare disinteresse nei riguardi del figlio/a.

E’ intuitivo che i genitori siano figure molto importanti per almeno tre motivi:

1) con nessun’altra persona al mondo abbiamo la certezza di avere un 50 % di geni in comune, per cui avere un cattivo rapporto con loro, biologicamente parlando, significa litigare con se stessi ed è probabilmente la peggior cosa che ci possa capitare

2) i genitori sono normalmente le prime e principali figure di accudimento, con cui si strutturano i fenomeni di “imprinting”, apprendimenti tenaci che informano lo sviluppo dell’individuo, ed il rapporto con essi è il fondamento dei sentimenti di autostima e sicurezza di sé. Al riguardo la figura paterna appare particolarmente importante soprattutto per quanto riguarda la realizzazione lavorativa.

3) il rapporto con i genitori, secondo Freud, è anche la base dello sviluppo psicosessuale e gli esperimenti di Lorenz sullo sviluppo di oche appena nate che non avevano avuto il normale “imprinting” materno appaiono confermarlo.

Altri studi con i falchi sull’imprinting indicano che esso può modificarsi e ritengo che ciò sia uno dei compiti della psicoterapia, nel rispetto ovviamente della libertà e autodeterminazione della persona.

Le tecniche per riequilibrare, migliorare il rapporto con le figure genitoriali sono pertanto uno strumento potente in psicoterapia per influire beneficamente su molti altri problemi caratteriali e relazionali del soggetto e ciò ci interroga anche sull’importanza e presumibilmente sull’imprescindibilità di un rapporto interpersonale per la nostra stessa capacità di manifestarci nella nostra essenza più genuina e di autorealizzarci al meglio delle nostre possibilità. In psicoterapia è lo psicoterapeuta che fornisce questa “presenza” inestricabilmente congiunta a tecniche adeguate.

L’aspetto più interessante rimane comunque l’effetto spesso sorprendente e dirompente che la tecnica gestaltica, consistente in  una sorta di dialogo immaginato favorito dal terapeuta con la figura genitoriale, trasposto nel dialogo paziente-terapeuta,  ha su diversi problemi del paziente, come accennato sopra, tanto è vero che non molto di rado la psicoterapia può anche terminare perché ormai l’individuo ha acquisito la capacità di “camminare con le proprie gambe”.

Cosa fa lo psicologo della Gestalt? Non inventa nulla, si limita ad osservare e restituire ciò che gli fornisce il soggetto con il linguaggio verbale, ma soprattutto non verbale, sviluppandone le implicazioni, aggiungendo tuttavia le conoscenze psicologiche in suo possesso e conducendo così il dialogo di cui sopra verso contenuti che portano ad avere un’immagine del rapporto genitoriale più positiva e/o più gestibile in conseguenza di diverse e più appropriate competenze del soggetto stesso. In sostanza accompagna e guida il soggetto verso l’acquisizione di una “buona forma” significato della parola tedesca “gestalt” assunto dall’indirizzo terapeutico relativo, in sostituzione della precedente “forma” cioè l’ assetto cognitivo ed emozionale che connotava il rapporto con la figura genitoriale.

L’osservazione, l’intuito, l’empatia del terapeuta sono essenziali nell’applicazione della Terapia della Gestalt e rendono conto anche della velocità dei risultati per cui a buon titolo a mio avviso questo indirizzo terapeutico può essere inserito tra le “terapie brevi”. E’ ovvio ed implicito, anche se forse è bene sottolinearlo, che comunque l’acquisizione di una nuova “buona forma”, in sostituzione della precedente implica la libera partecipazione e la co-costruzione del soggetto alla stessa.

BIBLIOGRAFIA

E. Polster, M. Polster, M. S. Lobb, Terapia della Gestalt Integrata, Giuffré 1973

V. Sciubba E’ possibile modificare l’imprinting? https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3161-e-possibile-modificare-l-imprinting.html 2013